La scultura dopo il 2000

FRAC: tra idolatria e iconoclastia la scultura dopo il Duemila
Pasquale Rocco
19 giugno 2015

È sullo stato della scultura contemporanea che s’interroga Ada Patrizia Fiorillo, curatrice della mostra “La Scultura dopo il Duemila. Idolatria e iconoclastia”, inaugurata lo scorso 30 maggio presso gli spazi del Museo F.R.A.C. di Baronissi con opere di Caterina Arcuri, Emmanuele De Ruvo, Emanuela Fiorelli, Vincenzo Frattini, Maria Cristina Galli, Michelangelo Galliani, Anna Utopia Giordano, Federico Lanaro, Rinedda (Gennaro Sorrentino).Senza avanzare pretese di esaustività, la mostra si offre come contributo al dibattito sulla scultura contemporanea, alla riflessione sulle sue trasformazioni registrate negli ultimi trent’anni del Novecento, mettendone in risalto la particolare estensione del proprio campo d’azione. In particolare, il percorso immaginato da Fiorillo sembra articolarsi tra l’incendere della forma – la quale, richiamando Perniola, sembra occupare uno spazio intermedio tra la divinizzazione e la sua demonizzazione, tra idolatria e iconoclastia – e il potere dell’immagine la quale, secondo quanto suggerisce la curatrice, trascende la forma stessa, “dando adito a quella gamma di possibilità espressive dettate fondamentalmente dall’immaginazione”.
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In questo senso si muovono, del resto, le opere selezionate: Matrice I e Sogni d’oro realizzate da Michelangelo Galliani tra il 2013 e il 2014, frammenti sospesi tra passato e futuro; OltreNatura di Caterina Arcuri, contraddistinta da una sorta di minimalismo intimistico, e Cancellazione realizzata nel 2014 da Emanuela Fiorelli come proposta di architettura primaria. Ancora Gravity of Situation e Pendulum Rocking di Emmanuele De Ruvo che da tempo insiste sulla messa in opera di equilibri precari, di contrapposizioni materiali e concettuali; la serie Senza Titolo di Vincenzo Frattini il quale cerca di esaltare lo spazio per mezzo di accordi cromatici che esaltano la compattezza della materia. A un mondo onirico, denso di implicazioni memoriali appartiene il lavoro di Maria Cristica Galli autrice di I cinque tempi, opera del 2011, mentre Federico Lanaro attinge, suggerisce la Fiorillo, da un repertorio della quotidianità rivisitata alla luce di una dimensione immaginifica, così come confermano Form e Zanne. La riflessione sui cambiamenti estetici, soprattutto riguardo al corpo femminile, impronta Venus, videoinstallazione di Anna Utopia Giordano, mentre Rinedda affronta il nostro tempo tempo in maniera drammatica ponendo i suoi corpi, le sue larve, al confine tra luce e ombra, tra l’essere e l’apparire, tra il visibile e l’invisibile. Dimensione liminale entro la quale evidentemente prende sempre corpo la scultura nel suo tendere tra forma e immagine, tra concreto e virtuale, tra sostanza terrena e fragilità dell’idea.