Ombre: l’indagine dell’inafferrabile

a cura di Federico Sardella
Francesco CANDELORO Enrico CASTELLANI Claudio CITTERIO
Bruna ESPOSITO Emanuela FIORELLI Arianna GIORGI Yari MIELE
Alex PINNA Marco TIRELLI Giuseppe UNCINI Grazia VARISCO
Antonella ZAZZERA
Fabbri Contemporary Art, Milano
7 marzo – 21 aprile 2012

L’ombra, inafferrabile presenza ed assenza al contempo, in questa esposizione, si mostra in alcune delle sue possibili forme, ricche di misteri e di magie. I dodici artisti presenti, distanti per età e geografie, operano nei campi più disparati: pittura, scultura, fotografia, video, installazione… eppure, osservando le loro opere individuate per questa occasione sarà inevitabile rintracciare un comune denominatore che non necessita molte spiegazioni ma che chiede di essere indagato: l’ombra. Propria o portata, parte del lavoro o il lavoro stesso, solida o virtuale, bloccata in un attimo di spazio o libera di modificarsi nel tempo, ha a che fare con l’illusione, con l’oscurità, con l’inconscio e, naturalmente, con la luce. Pensata appositamente per gli spazi della galleria, questa rassegna vorrebbe svelare differenti tipologie di indagini sulla questione, dando risalto alle singole opere ed al tempo stesso proponendole in un allestimento teso a favorire il dialogo e a delineare un percorso nei luoghi delle ombre, dove il riverbero ed il miraggio si fanno palpabili… senza dimenticare che ognuno di noi è seguito da un’ombra e che, come sosteneva Giorgio De Chirico: “Ci sono più enigmi nell’ombra di un uomo che in tutto l’universo”.


Emanuela Fiorelli

Yari Miele
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La mostra, gli artisti, le opere Il percorso della mostra inizia con un disegno inedito del 1958-59 di Enrico Castellani titolato “Ombre”: acquarelli dove attorno ad alcuni punti la pennellata dà vita ad una zona di semi oscurità, suggerendo una tridimensionalità ed una fisicità palpabile. Accanto a questo lavoro sarà esposta una recente tipica “Superficie bianca” nel cui spazio convivono, si attraggono e si respingono pieno e vuoto, concavo e convesso, positivo e negativo, luci ed ombre. Quasi a voler sottolineare il potere che luci ed ombre hanno nel determinare l’illusione di una possibile tridimensionalità, accanto a Castellani sarà esposta un’opera di Marco Tirelli, un inchiostro e tempera acrilica su tela dove un corpo provvisto di volume, la cui presenza descritta dal chiaroscuro si manifesta nel suo apparire, in bilico tra luce ed oscurità. Se nei lavori di questi due artisti le ombre si limitano ad abitare le opere, negli “Gnomoni” di Grazia Varisco, contribuiscono all’espansione del lavoro nello spazio e ne determinano la struttura, in grado di variare con il modificarsi della luce. Ottenuti grazie alla semplice operazione del piegare lungo il perimetro di un quadrilatero una porzione dei lati, queste sculture da parete del 1983-84, il cui nome è quello delle aste delle meridiane, vivono della loro ombra, che determina spazi ambigui in grado di dilatarsi. Quasi a volere sottolineare il peso dell’ombra, in mostra sarà presente un’importante opera di Giuseppe Uncini del 1973: “Ombra di un cubo”, concessa in prestito dalla Fondazione Marconi, Milano. In questa scultura da terra la fisicità dell’ombra viene ribadita sfacciatamente. Il costruire, il rendere visibile l’idea attraverso elementi tangibili, porta Uncini a dare solidità a quest’elemento impalpabile, non più contrario del pieno ma presenza che si manifesta per quello che è, fatta di cemento, inamovibile e fissa, senza possibilità di fuga. Un’ombra solida è anche quella che mette in scena Alex Pinna nella sua scultura “Hombre”, che si compone di una parte in corda ed una in piombo. La prima restituisce l’immagine di una figura umana stilizzata ed allungata, quasi arcaica, la seconda la sua ombra realizzata in piombo, carica di tutto il suo peso, dotata di corpo eppure, nonostante la pesantezza che il materiale scelto porta con sé, leggera e fugace, colta un attimo prima della sua scomparsa. Emanuela Fiorelli e Antonella Zazzera, seppur con materiali diversi, fili elastici la prima e fili di rame la seconda, disegnano strutture tridimensionali in cui il filo si dipana sino a disegnare percorsi che, grazie all’ombra, in grado di sdoppiarsi. Un’ombra propria, è quella delle opere della Zazzera, generata dalle sue strutture di luce va a sottolinearne la presenza e la precarietà. Apparentemente meno celebrata, costretta entro una teca di plexiglass, è quella di cui si occupa la Fiorelli che nell’ambito di uno spazio dato riesce a rendere l’idea di una profondità illusoria, dove l’ombra si fa portavoce di una condizione impalpabile eppure tracciata. In una saletta laterale, sarà esposto “Paradiso ora” di Arianna Giorgi: un gregge di piccole pecore guarda verso la luce dunque, verso la speranza. Ma la luce ingannevole aiuta a suggerirci la sagoma di un aereo, forse di un kamikaze (dal titolo del film: Paradise Now) che dona la vita per un’ideologia imposta col plagio in un’ottica di violenza. Il raggio di luce, generato da una torcia, si interrompe rammentandoci che l’ombra è sempre in agguato. Il lavoro di Claudio Citterio titolato “Pupilla” si inserisce nel percorso della mostra andando a stimolare una possibile riflessione sul guardare. Uno schermo rivolto verso la parete proietta su questa ultima una luminosità che devia e modifica la sua ombra sul muro, nella variazione della luce e nei mezzi toni, un’opera in bilico tra vedere e non vedere, tra presenza ed assenza. Nelle opere di Francesco Candeloro, diversamente, le presenze con le quali ci troviamo ad interagire sono immagini di volti umani catturati senza gerarchie dall’obiettivo dell’artista ed incastonati in un box di plexiglass. Una disseminazione di volti che producono un echeggiare luminescente, come se il loro chiacchiericcio fosse in grado di proiettarsi al di fuori del corpo che li ha generati, dando vita ad un gioco di ombre luminose, quasi degli spettri, che risulteranno essere l’unico tocco di colore in questa mostra, le cui tonalità dominanti saranno il nero, il bianco e tutti i possibili grigi. Di Bruna Esposito sarà presente il video “Senza titolo. Dvd per la proiezione di un’ombra”, dove l’ombra di una bandiera che sventola, ripresa da una camera fissa, continua a muoversi, solitaria e sollecitata da una brezza indicibile, senza sosta, si sbraccia ostinata nel suo messaggio silenzioso. Il percorso della mostra si chiude con un grande lavoro realizzato per l’occasione da Yari Miele che da sempre si interessa a fenomeni quali la fluorescenza, la catarifrangenza e la luce in generale, presa in considerazione in tutte le sue possibili declinazioni. Nell’ultima sala, grazie all’alternarsi delle due condizioni, luce e buio risulteranno essere protagonisti della scena. Ancora una volta gli elementi primi del lavoro, che si regge su strutture ben salde dotate di forma e sostanza vivono nell’ombra e dell’ombra pur essendo spazio di luce.

Ombre e luci alla Fabbri Contemporary Art:


Laura Luppi

Entrare negli spazi espositivi di via Stoppani 15 a Milano potrebbe rappresentare l’ingresso metaforico nella celebre caverna del mito platonico, la profonda grotta abitata da ombre a confine tra illusione e realtà. E l’ombra infatti è il tema dominante della mostra inaugurata mercoledì 7 marzo presso Fabbri C.A. Contemporary Art, che si concluderà sabato 21 aprile. “Ombre. L’indagine dell’inafferrabile” per l’esattezza è il titolo della collettiva che riunisce dodici artisti nazionali nel comune intento di indagare la luce e l’ombra da essa generata nelle svariate possibilità investigative. L’accenno al mito della caverna di Platone è tanto più appropriato quanto spontaneo nella sua immediatezza esperienziale. Come l’antico filosofo ci ha narrato, la ricerca della verità viene sublimata dalla scelta di oltrepassare la linea di confine che distanzia la certezza illusoria, vicina altresì al concetto di opinione (doxa), e la conoscenza certa (episteme), non fondata sul giudizio personale ma sulla concretezza dei fatti obiettivi. Per esplicare con efficacia tale concetto, Platone ha fatto dunque riferimento proprio alla differenza sostanziale tra gli oggetti tangibili (posti nell’allegoria fuori dalla caverna e illuminati dalla luce di un enorme fuoco) e le ombre degli stessi (proiettate invece all’interno, contro quella parete che rappresenta l’unico campo visivo concesso all’uomo). L’ombra ingannevole si confonde con l’oggetto di cui invece è solo conseguente proiezione, costituendo così una condizione di ambiguità e incomprensione del contingente, che intrappola in quell’indagine dell’inafferrabile a cui è impossibile rinunciare.





Francesco Candeloro



Antonella Zazzera
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Ognuno secondo la propria tecnica, i dodici artisti testimoniano la loro personale avventura all’interno di un mondo fatto di ombre, che per essere tale non può prescindere dalla presenza della luce. La notte e il giorno come campi dell’inconscio e della consapevolezza (oltre che come condizioni spazio temporali imprescindibili al susseguirsi dei cicli della vita) contrapposti e sempre in dialogo tra loro, uniti da quell’intoccabile figura oscura platonicamente definibile “copia di copia”, copia di una realtà che ha preso per modello un’idea sovrasensibile a noi non accessibile. Il lavoro di Enrico Castellani si inserisce nel progetto espositivo della galleria Fabbri, ponendo l’attenzione proprio sul percorso che l’artista ha dedicato alla luce e alla sua interazione con le tele ritmicamente estroflesse da chiodi e metalli. Oltre a “Superficie Bianca” si trova in mostra un acquarello costituito da fitte pennellate gettate sul supporto con medesimo intento, tra chiari e scuri, effetti luminosi e zone cupe. Marco Tirelli propone l’acrilico su tela “Senza Titolo” del 2010 , in cui la profondità dell’oggetto sembra evadere il campo figurativo e invadere quello osservativo dello spettatore, creando un gioco metafisico di piacevole purezza formale. Di Grazia Varisco, co-fondatrice negli anni ’60 del gruppo T di Milano, è invece l’installazione “Gnomoni”, il cui titolo nasce dall’intenzione di rimandare alla memoria quella sezione dell’orologio solare (solitamente l’asta che sporge dal quadrante) che proietta la propria ombra sul piatto, segnando “fissamente” un’ora in continua metamorfosi. La struttura composta da linee corporee e linee riflesse vive anch’essa della mutevole condizione visiva data dalla naturale e perciò variabile sorgente di luce. Di Giuseppe Uncini, noto per le sue sperimentazioni col cemento, è “Ombra in un cubo” del 1973, scultura da terra in grado di materializzare il segno “fantasma” delle cose. Le leggere e sottili sculture di Alex Pinna, creature stilizzate che paiono non condizionate dalla forza di gravità, esistono nell’indissolubile relazione con l’alter ego di piombo, dando origine a un allegorico conflitto tra evanescenza della figura umanizzata e la pesantezza della sua copia deforme. “Isola di Resistenza” di Emanuela Fiorelli è uno dei risultati della ricerca dell’artista nel campo dello Spazialismo nella produzione specifica di effetti di profondità fittizia, mentre “Naturalia” di Antonella Zazzera riporta al centro dell’attenzione il materiale prescelto, il rame nel suo intreccio di fili in divenire. Raggi e fonti di luce anche per Arianna Giorgi e il suo “Paradiso ora” tratto dall’omonimo film di HanyAbu-Assad il cui protagonista svolge il ruolo di kamikaze, minaccia che sembra incombere anche sopra un gregge di pecore, allusione alle potenzialità divulgative di un ideale politicamente pilotato. “Pupilla” di Claudio Citterio e “Bianco Fluo” di Yari Miele parlano anch’essi di luce e lo fanno considerando le variazioni di tonalità nel caso di Citterio, e sperimentando le possibili fluorescenze nel caso di Miele. Francesco Candeloro, nell’opera “Incontri” intrappola invece i tratti di alcune persone in cubi di plexiglass, per lasciarli replicare nell’ambiente che li ospita in luminescenti riverberi. Per concludere, il video di Bruna Esposito “Senza Titolo. DVD per la proiezione di un’ombra”. Esso simboleggia in maniera incisiva quel rapporto tra verità e apparenza, tra convinzione e certezza, tra dogma e ideale, che l’ombra di una bandiera può suscitare agli occhi di chi la osserva. Una bandiera anonima librante nell’aria ma percepibile visivamente solo a terra, forse emblema della nostra appartenenza a un mondo la cui ombra possiamo sempre avvertire, ma la cui essenza mai veramente ci è concessa.